Chi tace non piglia pesci
🍀 Perbacco! #69 - Dal caso Mamdani alle imprese: il clima è una questione sociale, non solo ambientale. Ed è meglio non fare i timidi
Pensiamo di essere pochi a preoccuparci del clima. E invece siamo la maggioranza. C'è una forza silenziosa che vuole un futuro migliore, ma che fatica a vedersi. A New York un candidato sindaco lo ha capito e ne ha fatto la sua forza.
Che lezioni ne possiamo trarre?
Io sono Antonio Di Bacco, ho fondato Lymera per trasformare la sostenibilità in valore reale per le aziende e questa è una nuova puntata di Perbacco! - la newsletter che parla proprio di sostenibilità, etica e strategie d’impresa.
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Buona lettura!
Illusioni collettive
Immagina una sala riunioni in cui la luce resta accesa anche quando non serve. Tutti pensano che sarebbe meglio spegnerla, ma nessuno lo fa, convinto che agli altri non importi.
Questa è l'essenza del "malinteso globale" descritto da uno studio pubblicato su Nature Climate Change e raccontato dal Guardian qualche settimana fa.1
Secondo i dati, l'89% della popolazione mondiale vuole più azione per fermare il cambiamento climatico, ma crede di essere circondata da scettici o indifferenti.
La ricerca, condotta su 130.000 persone in 125 Paesi, copre il 96% delle emissioni globali.

Nell'esperimento chiave, ai partecipanti veniva chiesto di dividere un budget reale di 450 dollari tra sé stessi e un’organizzazione che finanzia energie rinnovabili.
Sapevano che alcuni di loro, scelti casualmente, avrebbero realmente ricevuto il denaro assegnato.
In media, i partecipanti donavano circa la metà della somma. Ma quando veniva detto loro che il 79% della popolazione considera importante l’azione climatica (correggendo così la loro percezione, che stimava solo il 61%), la donazione media aumentava di 16 dollari a persona.
Un dato che dimostra come conoscere il vero consenso sociale spinga le persone a comportamenti più generosi e pro-clima.
I risultati mostrano pure che il consenso è trasversale a tutte le aree geografiche: in Cina il 97% chiede più azioni contro il riscaldamento globale, negli Stati Uniti il consenso raggiunge il 75%, e nei Paesi produttori di petrolio come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti circa l'80% delle persone sarebbe disposta a donare l'1% del proprio reddito per contrastare la crisi climatica.
Da notare che chi soffre di più il caldo è anche chi ha le opinioni più forti a favore del clima, indipendentemente dal reddito.
Cittadini di Paesi come Mongolia, Myanmar, Uzbekistan, Sierra Leone o Burkina Faso, dimostrano di avere maggiore propensione a spendere di più per contribuire alle azioni contro il cambiamento climatico, rispetto a quelle che abitano in Norvegia o a Singapore.

Eppure, questo consenso resta invisibile. Perché?
Spiral of Silence
La risposta sta nella "spirale del silenzio", una teoria della sociologa Elisabeth Noelle-Neumann. In breve: se pensi che la tua opinione sia minoritaria, taci. E tacendo, fai sembrare la tua posizione ancora più marginale.
Un circolo vizioso che si applica a tanti temi sociali: diritti civili, lotta alle disuguaglianze, parità di genere. Chi sostiene queste cause spesso tace per paura di essere giudicato, mentre chi le osteggia fa più rumore.
I media e i social amplificano il problema: danno spazio alle voci più estreme, polarizzano i dibattiti e fanno sembrare isolate le posizioni più comuni.
Così accade anche sul clima, dove le narrazioni si concentrano sulle proteste più clamorose o sui negazionisti più rumorosi, lasciando invisibile il consenso diffuso.
Secondo i ricercatori, quando si corregge questa percezione sbagliata, ad esempio informando le persone che la maggioranza dei loro concittadini sostiene le politiche climatiche, la disponibilità ad agire cresce sensibilmente.
Il caso Mamdani
In questo scenario si inserisce la campagna di Zohran Mamdani, candidato sindaco socialista a New York City che ha fatto molto parlare di sé nelle ultime settimane.
La sua forza è semplice e rivoluzionaria: non parla di sacrifici, ma di diritti.
Le sue proposte parlano alla vita quotidiana dei cittadini:
Bloccare gli aumenti degli affitti, impedendo che le ristrutturazioni "green" diventino una scusa per cacciare i meno abbienti.
Rendere gratuiti e affidabili i bus cittadini, riducendo inquinamento e spese di trasporto.
Trasformare le scuole pubbliche in luoghi sicuri e resilienti alle emergenze climatiche.
Sperimentare supermercati municipali nei "deserti alimentari" per abbassare il costo dei generi di prima necessità.
Il suo approccio rappresenta un tentativo concreto di legare politiche climatiche a benefici immediati per il 99% della popolazione, contrapponendosi agli interessi dei grandi gruppi economici.
L’idea di fondo è che la lotta al cambiamento climatico deve migliorare la vita quotidiana delle persone comuni, e non essere solo una questione tecnica o moralistica.
La sostenibilità è quindi anche una questione sociale, non solo ecologica. E le politiche climatiche più efficaci sono quelle che abbassano il costo della vita e migliorano la qualità dei servizi pubblici.
La sua campagna utilizza strumenti di comunicazione diretta: porta a porta, assemblee di quartiere, volontari attivi sui social e negli spazi pubblici, oltre alle classiche telefonate che cercano di persuadere le persone a votare che abbiamo visto anche in molte rappresentazioni cinematografiche (il primo che mi viene in mente è Milk, con un eccezionale Sean Penn).
Secondo un'intervista su City & State,2 Zohran Mamdani ha mobilitato una rete di oltre 50.000 volontari, di cui più di 30.000 impegnati in attività via telefono o porta a porta.
Un approccio che, pur in forme diverse, potrebbe ispirare anche il mondo delle imprese. Perché la questione è la stessa: trasformare la sostenibilità da principio astratto a miglioramento concreto della vita quotidiana.
Il ruolo delle aziende
Secondo l’Edelman Trust Barometer 2025,3 oggi le imprese sono l’istituzione che gode di maggiore fiducia in Italia, più di governo, media e ONG.
Ma questa fiducia non è scontata: si regge sulla capacità di offrire risposte concrete ai problemi quotidiani.
Cresce l’attesa verso un impegno più forte del business su temi concreti, che riguardano il presente delle persone.
Le persone chiedono alle aziende di fare di più contro il cambiamento climatico, ma anche di intervenire sul costo dell’energia, dei trasporti e dei beni essenziali.
E vogliono più investimenti nella formazione, per affrontare i cambiamenti del lavoro e della tecnologia.
Non si tratta solo di ambiente, insomma. Si tratta di qualità della vita. Di bollette più leggere, trasporti pubblici più efficienti, case e quartieri più vivibili.
Le imprese che migliorano l’efficienza energetica non solo riducono le emissioni, ma abbassano i costi per chi utilizza i loro servizi o prodotti.
Chi investe nei trasporti pubblici elettrici o nelle abitazioni più sostenibili aiuta a costruire città meno inquinate e più accessibili.
E chi racconta questi passi avanti, senza la paura di essere accusato di greenwashing, contribuisce a rendere visibile un cambiamento che spesso resta sommerso.
Perché anche nel mondo delle aziende vale la dinamica vista all’inizio: se chi agisce tace, sembra che nessuno stia facendo nulla.
E invece qualcosa si muove.
Ma perché diventi davvero un cambiamento collettivo, serve che qualcuno inizi a dirlo, a mostrarlo, a farlo vedere.
Meloni preziosi
Torniamo un attimo a New York perché se c’è chi parla di supermercati municipali per aiutare chi fa fatica ad arrivare a fine mese, negli Hamptons si combatte una guerra molto diversa: quella dei gourmet market.
Il New York Times4 ha raccontato come in queste località esclusive si faccia la fila per meloni da 400 dollari, caponate da 15 e insalate di pollo da 30.
Chef privati, influencer e residenti stagionali si contendono il titolo di miglior spesa estiva, tra boutique del cibo dove i prezzi, spesso nemmeno esposti, sembrano più un segreto da scoprire alla cassa che una scelta consapevole.
Due facce molto diverse dello stesso Paese.
Per Gaza
A Gaza ho dedicato il numero 67 di Perbacco! uscito circa un mese fa. Una goccia nel mare ovviamente, ma goccia dopo goccia…
Perciò ho trovato pregevole il progetto messo in piedi da alcuni professionisti e professioniste che conosco: una specie di aggregatore di azioni che si possono fare per prendere posizione contro il genocidio a Gaza.
Sono suddivise per categoria: dal fare pressione verso aziende o esponenti politici all’informarsi tramite documentari o report ONU, dalle azioni simboliche a petizioni e donazioni.
Come ha scritto uno degli autori “è una lista incompleta, è un contributo se volete irrilevante, ma è un modo che abbiamo trovato di spendere alcune nostre competenze. Si rivolge a chi come noi non riusciva più a starsene fermo e non voleva farsi sopraffare dall'impotenza.”
Lo trovi a questo indirizzo: https://www.forgaza.org/it
È tutto per questo numero di Perbacco! Se vuoi parliamone nei commenti.
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Se vuoi invece rispondere a qualche breve domanda su questa newsletter, puoi farlo da qui. Grazie!
L’articolo del Guardian è questo: ‘Spiral of silence’: climate action is very popular, so why don’t people realise it?
L’intervista a Tascha Van Auken, direttrice della campagna di Mamdani, che tra le altre cose ha lavorato con lo stesos ruolo anche per Obama nel 2008, la trovi qui.
L’Edelman Trust Barometer 2025 è stato pubblicato qui.
L’articolo del NYT è disponibile a questo indirizzo.
Quello che sta facendo Zohran Mandani è straordinario, e dovrebbe essere l'ordinario per chi si occupa di amministrare: speriamo venga eletto.
Grazie per averlo raccontato benissimo in modo sintetico.