Tutti i nodi vengono al pettine
👨🏻💻 Perbacco! #41 - Le proteste per la guerra a Gaza, dalle università a Google. Si può tenere la politica fuori dal luogo di lavoro?
Da giorni si fanno sempre più insistenti le proteste contro la guerra a Gaza da parte degli studenti nelle maggiori università statunitensi.
Secondo le ultime stime da metà aprile nelle proteste nelle università sono state arrestate oltre 2.000 persone (e quasi tutte rilasciate poco dopo).
È un problema solo delle università? Evidentemente no.
Anche le grandi aziende come Google, che da tempo sostengono la propria “open culture” e i movimenti a difesa dei diritti umani, devono ora trovare il modo di gestire queste proteste.
Una situazione che fa sorgere alcune domande:
Qual è il confine tra libertà di espressione dei propri dipendenti e le posizioni e gli interessi di un’azienda?
Cosa è politica e cosa non lo è?
Quanto è possibile separare il business e la sua sostenibilità economica dalle questioni ambientale e sociali?
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Barcamenarsi
Le università si trovano a gestire una situazione complessa, a barcamenarsi tra due diversi diritti degli studenti: da un lato quello di protestare, manifestare ed esprimere liberamente il proprio pensiero; dall’altro quello di tutto il corpo studentesco di poter frequentare l’università senza interruzioni o problemi.
A questo si aggiunge che le università sono luoghi di formazione e di cultura, ma anche delle aziende, con rapporti di carattere scientifico e commerciale con altri atenei di tutto il mondo, compresi quelli con l’Università di Tel Aviv che viene presa come bersaglio da chi protesta.
Le cose non vanno poi così meglio anche in altre grandi aziende hi-tech statunitensi.
Il 4 marzo, a Midtown Manhattan, l'amministratore delegato di Google per Israele, Barak Regev, stava parlando a una conferenza che promuoveva l'industria tecnologica israeliana quando un membro del pubblico si è alzato in piedi per protestare:
"Sono un ingegnere software di Google Cloud e mi rifiuto di costruire tecnologie che alimentano il genocidio, l'apartheid o la sorveglianza" ha gridato il manifestante, che indossava una maglietta arancione con il logo bianco di Google.
Ha poi ripetuto: "Niente tecnologia per l'apartheid!", che corrisponde al nome di un gruppo di attivisti chiamato proprio No Tech for Apartheid e che conta più di 200 dipendenti di Google, con altre centinaia di lavoratori che sarebbero solidali con i loro obiettivi.
A protestare era un ingegnere informatico di Google di 23 anni di nome Eddie Hatfield. È stato fischiato dal pubblico e rapidamente portato fuori dalla sala, come mostra un video pubblicato su Twitter.
Dopo una pausa, il dirigente di Google ha ripreso la presentazione dicendo: "Uno dei privilegi di lavorare in un'azienda che rappresenta i valori democratici è dare spazio alle diverse opinioni".
Tre giorni dopo, Google ha licenziato Hatfield.
Come riporta la rivista Time, Google ha dichiarato di averlo licenziato per aver interrotto un collega e interferito in un evento ufficiale sponsorizzato dall’azienda, violando le policy aziendali.
Il progetto Nimbus
Il motivo principale della protesta è il progetto Nimbus, un contratto del valore di 1,2 miliardi di $ stipulato da Google e Amazon con il governo israeliano.
Prevede la fornitura di servizi di intelligenza artificiale e cloud computing al governo e all'esercito israeliano che, secondo alcune fonti, consentirebbero il rilevamento facciale potenziato dall'IA, la categorizzazione automatica delle immagini e il tracciamento degli oggetti.
Secondo chi protesta sarebbero utilizzati per la sorveglianza, i sistemi di tracciamento e puntamento militari o altre forme di armamento.
Google dichiara che il servizio fornito non riguarda direttamente impieghi militari altamente sensibili o classificati, relativi alle armi o ai servizi di intelligence, mentre un portavoce di Amazon ha dichiarato che l'azienda "è concentrata nel rendere disponibili i vantaggi della nostra tecnologia cloud leader a livello mondiale a tutti i nostri clienti, ovunque essi si trovino", aggiungendo che sta sostenendo i dipendenti colpiti dalla guerra e collaborando con le agenzie umanitarie.
Non ci sono prove che la tecnologia di Google o Amazon sia stata utilizzata per uccidere civili, anche perché per ragioni di privacy e sicurezza né le aziende né tantomeno il governo israeliano forniscono ulteriori dettagli in merito e per gli stessi motivi i due colossi americani non possono monitorare ciò che Israele potrebbe fare con le proprie tecnologie.
Le proteste organizzate internamente a Google, iniziate già da mesi, hanno portato al licenziamento di 28 dipendenti, che ora hanno presentato una denuncia al National Labor Relations Board, un'agenzia federale indipendente che protegge il diritti dei dipendenti del settore privato, ritenendo inappropriate le cause del licenziamento.
La politica in azienda
Come riporta la CNN, l'amministratore delegato Sundar Pichai ha inviato un promemoria a tutta l'azienda per esortare i dipendenti a tenere la "politica" fuori dal luogo di lavoro, affermando inoltre: "questa è un'azienda e non un luogo dove agire in modo da disturbare i colleghi".
I dirigenti a cui si era rivolto Hatfield prima di arrivare ad interrompere la presentazione del suo collega, gli avevano consigliato di evitare che certe preoccupazioni influenzassero il suo lavoro.
"Il che è un po' ironico”, dice Hatfield al Time, “perché lo vedo come parte del mio lavoro. Sto cercando di garantire che gli utenti del mio lavoro siano al sicuro. Come posso lavorare su ciò che mi viene detto di fare, se non penso che sia sicuro?".
Al di là della vicenda specifica, la domanda che ci si può porre è: cosa è politica e cosa non lo è?
Quando Google dichiara il proprio impegno per la diversità, l'equità e l'inclusione, la sua DEI strategy, fa anche politica?
Non è una domanda retorica.
Anche altre aziende si trovano di fronte ad interrogativi simili, ma proprio i dipendenti di Google hanno protestato in più occasioni in passato senza particolari interventi da parte della dirigenza aziendale.
Lo hanno fatto contro il divieto di immigrazione dai Paesi a maggioranza musulmana imposto dall'ex presidente Donald J. Trump, contro la gestione delle molestie sessuali da parte dell'azienda, hanno formato un sindacato e hanno chiesto alla dirigenza di smettere di lavorare con il Pentagono.
Per questo motivo è soprattutto quello che succede a Google a fare notizia. Una grande azienda, uno dei brand più noti al mondo.
Strade convergenti o divergenti
Come si combina il personal brand con il company brand?
Qualche giorno fa ho fatto questa domanda a - HR Business Writer e Consulente - mentre avevamo davanti una folta platea di studenti del Politecnico di Torino per parlare di personal branding e LinkedIn.
La risposta alla domanda è piuttosto semplice quando c’è unione di intenti e una visione comune su cui azienda e dipendenti convergono: azioni di employer branding, campagne di sensibilizzazione su temi ambientali o sociali che coinvolgono gli stessi lavoratori, iniziative che mettono in rilievo quanto di buono si fa in azienda per contribuire a progetti che vanno al di là del profitto.
La Corporate Social Responsibility che va a braccetto con il personal brand e magari ci fa fare anche bella figura sui social media.
Ma che succede quando i valori, le strategie e le azioni di azienda e singoli dipendenti prendono strade differenti?
Pur senza arrivare alle proteste esplicite e pubbliche che hanno portato ai licenziamenti in Google, certo prevarrebbe la demotivazione, il quiet quitting e la ricerca di un lavoro altrove.
Negli ultimi anni il ruolo delle aziende è cambiato per interpretare le esigenze di clienti e dipendenti, più attenti ai temi della sostenibilità, ai valori che contraddistinguono l’identità aziendale.
Non è un rapporto semplice e stabile e probabilmente lo sarà sempre meno in futuro. Lo hanno già dimostrato la pandemia, la crisi climatica, le guerre. Eventi intrecciati in vario modo al nostro quotidiano di cittadini, clienti, dipendenti o dirigenti.
Prima o poi tutti i nodi vengono al pettine.
👓 Spunti e appunti
I green roof o tetti verdi dove si coltivano piante danno grande beneficio alle città, ma i blu-green roof sembrano ancora meglio. (Wired USA)
Ti piace pedalare? Ti piace il mare? Potresti aver trovato la bici dei tuoi sogni che…galleggia sull’acqua. (Interesting Engineering/Instagram)
Il segreto dei super-anziani? Le relazioni sociali! (New York Times). Sembra quasi una risposta allo scorso numero di Perbacco! su anziani e AI.
L’accordo da 6,5 miliardi di $ proposto da Johnson & Johnson per risolvere decine di migliaia di denunce per la possibile presenza di amianto nel talco che avrebbe causato il cancro alle ovaie. (La Svolta)
Dopo la birra dagli scarti del pane arriva quella dagli scarti di caffè: il progetto di torrefazione Cellini con Biova. (BrandNews)
Come si fa a fare manutenzione alla fittissima rete di cavi oceanici che rendono possibili le comunicazioni? Con una flotta di navi ad-hoc. (The Verge)
La newsletter Areale di Ferdinando Cotugno è diventata anche un podcast per parlare di crisi climatica, transizione ecologica e il nostro complicato rapporto con la biodiversità. Lo trovi qui. (Editoriale Domani)
🎈E per finire in leggerezza…
Un’illustrazione di Doug Savage che ironizza sull’AI.
“Haagen-Bot! Il robot che mangia gelati così che non debba farlo tu!”
“Ma a me piacciono i gelati…”
“Smettila di ostacolare il progresso!”
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