Dal Green Deal al Green Diluito
🍀 Perbacco! #68 - Reporting climatico: chi frena, chi firma, chi ci crede davvero
C’è chi dice che la sostenibilità è diventata un onere.
C’è chi prova a smontarla pezzo per pezzo, in nome della semplificazione.
E poi c’è chi, invece di lamentarsi, fa pressioni al Parlamento Europeo, pubblica dati e sceglie di fare le cose per bene, anche senza obbligo.
Questa puntata nasce da una domanda che torna, testarda: trasparenza e rendicontazione sono davvero un problema, o sono parte della soluzione?
Io sono Antonio Di Bacco, ho fondato Lymera per trasformare la sostenibilità in valore reale per le aziende e questa è una nuova puntata di Perbacco! - la newsletter che parla proprio di sostenibilità, etica e strategie d’impresa.
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Ora partiamo. Buona lettura!
Chi frena, chi firma
Partiamo da una notizia passata un po’ in sordina ma che merita attenzione1: quasi 40 aziende europee – tra cui Chiesi, Mutti, Kerakoll, Bureau Veritas – hanno scritto al Parlamento europeo per chiedere di non smontare gli obblighi climatici previsti dal Green Deal.
Un gesto tutt’altro che scontato, specie in un momento in cui la sostenibilità viene spesso liquidata come “burocrazia”.
Queste aziende dicono chiaro e tondo che i Piani di Transizione Climatica non sono una moda, ma strumenti strategici per anticipare rischi, dialogare con investitori e costruire valore.
Non è solo questione di etica, ma di competitività e visione industriale.
Riporto un passaggio dalla lettera di CO2alizione,2 iniziativa per la transizione aziendale:
“I Piani di transizione climatica non sono solo un esercizio di compliance [...] rappresentano una leva reale per la crescita, la trasparenza e l’accesso ai finanziamenti.”
Omnibus: semplificare o smontare?
Il contesto di tutto questo è il pacchetto Omnibus I, proposto dalla Commissione Europea.
Un'iniziativa che, dietro la retorica della “semplificazione normativa”, rischia di indebolire profondamente il sistema europeo di reporting sulla sostenibilità.
E non è l’unico fronte caldo: anche la Direttiva Green Claims – che punta a contrastare il greenwashing e disciplinare le dichiarazioni ambientali – è oggetto di discussione e possibili rinvii.
Cosa prevede l’Omnibus?
Alza le soglie per l’obbligo di rendicontazione (la cosiddetta CSRD - Corporate Sustainability Reporting Directive), escludendo le imprese sotto i 1.000 dipendenti, con una riduzione dell’80% delle aziende coinvolte
Introduce un limite (“value chain cap”) ai dati ESG che le grandi imprese possono richiedere ai fornitori più piccoli
Rende facoltativi i Piani di Transizione, depotenziandoli da strumenti attuativi a semplici dichiarazioni d’intenti
Allunga i tempi di verifica dei rischi, passando da un ciclo annuale a uno quinquennale
Secondo il think tank italiano ECCO,3 questo approccio non solo compromette la trasparenza, ma mina la capacità del sistema finanziario europeo di gestire i rischi climatici.
Ridurre gli obblighi di trasparenza e comunicazione dei dati ambientali, come proposto nel pacchetto Omnibus (soprattutto per le medie imprese e le PMI), significherebbe avere meno informazioni disponibili, rendendo più difficile per le istituzioni finanziarie valutare i rischi climatici nei loro processi di credito.
Chi lavora seriamente alla transizione non ha paura delle regole, ma del loro svuotamento. Perché è proprio la trasparenza – e non l’opacità – a generare fiducia, credito e valore.
Ecco perché è pericoloso trasformare la rendicontazione in un’opzione facoltativa: non tutte le aziende sono pronte o motivate a intraprendere volontariamente un percorso di trasparenza. E senza un quadro normativo chiaro, molti potrebbero semplicemente scegliere di non fare nulla.
Ma proprio per questo, vale doppio il gesto di chi oggi sceglie di esporsi, di misurare, di raccontare il proprio impatto – senza che glielo imponga nessuno. È un gesto che, paradossalmente, pesa più di un obbligo.
Non è (ancora) richiesto. Ma è (già) decisivo.
È il segnale di una cultura aziendale che non aspetta le norme per evolversi, ma che le anticipa, spesso traendo anche benefici competitivi e reputazionali.

Rendere visibile l’invisibile
A fine dicembre 2024, EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) ha pubblicato le linee guida per la rendicontazione volontaria di sostenibilità (VSME – Voluntary Sustainability Reporting Standard for SMEs).
Uno standard pensato per le piccole e medie imprese, semplice e modulare, per aiutarle a raccogliere e comunicare in modo chiaro i propri dati ESG.
Anche se non obbligatorie, queste linee guida rappresentano un ottimo punto di partenza: chi le adotta può mappare i propri impatti, migliorare le strategie, costruire fiducia con clienti, partner e banche, avviando un percorso che pian piano coinvolge tutte le funzioni aziendali e apre spazi di innovazione concreta.
Lo dico per esperienza diretta: in Lymera stiamo accompagnando le aziende in questo cammino proprio seguendo lo standard VSME.
Tocchiamo quindi con mano che anche fare un bilancio di sostenibilità, se fatto con metodo, stimola nuove idee, aiuta a ripensare i processi, attiva il confronto tra i team e fa emergere domande strategiche che altrimenti resterebbero sommerse.
Chi non fornisce dati rischia di sparire dai radar o essere penalizzato.
Secondo la Banca Centrale Europea, le aziende che dimostrano migliori performance ambientali ottengono condizioni di credito più favorevoli.4
Come semplificare
La vera domanda non è “semplificare sì o no”, ma come.
Semplificare è giusto. Ma svuotare gli strumenti è un altro discorso. Lo dicono le aziende firmatarie, lo dice la BCE, lo dicono i dati: oltre il 63% delle emissioni delle imprese europee viene generato da aziende oggi escluse dagli obblighi di rendicontazione.
Serve un cambio di approccio:
Standard proporzionati, ma scalabili nel tempo
Sostegno concreto alle imprese che vogliono iniziare a rendicontare (formazione, software, consulenza, incentivi)
Linee guida comuni per costruire Piani di Transizione robusti, comparabili, utili.
Rendere il reporting più accessibile non significa renderlo meno utile. Anzi.
Credibilità
La rendicontazione non è un orpello.
I Piani di Transizione non sono burocrazia.
Sono strumenti di gestione e di relazione. E lo sanno bene le aziende che hanno firmato la lettera destinata al Parlamento Europeo e quelle che si sono già attivate sulla rendicontazione pur in assenza di un obbligo diretto.
Sono tra quelle che non aspettano che cambino le regole per fare la cosa giusta.
E questo è un gran bel segnale.
Anzi, è la prova che un’altra idea di impresa – più giusta, più solida, più europea – è già in movimento.
Fast fashion alla francese: tassa l’abito, salva la faccia?
Il Senato francese ha appena approvato una legge5 che mira a frenare l’ultra-fast fashion – con nomi come Shein e Temu nel mirino – introducendo eco-tasse, divieti pubblicitari e sanzioni per influencer troppo disinvolti.
Dal 2025 si parte con 5 euro a capo per i marchi con peggior eco-score, fino ad arrivare a 10 euro entro il 2030. Ma attenzione: non più del 50% del prezzo di vendita. Semplificando: una maglietta da 3 euro continuerà a costare meno di un panino.
Le ONG parlano di “occasione mancata”: i colossi europei del fast fashion (Zara, H&M, Kiabi) sono rimasti fuori dalle sanzioni più severe. A prevalere, pare, è stata una logica di protezione industriale più che ambientale.
Eppure qualcosa si muove. La Francia potrebbe comunque segnare un precedente legislativo in Europa. Sempre che il testo passi l’esame UE. E che nel frattempo, non venga svuotato pezzo per pezzo.
Intanto, i numeri parlano chiaro: in Francia si buttano via 35 capi al secondo. La legge potrà rallentare il ritmo? O sarà solo un altro slogan ben stirato?
Due città, due segnali verdi
Scrivo questa newsletter dalla mia casa di Torino dopo un colpo di calore che mi ha letteralmente steso.
Perciò mi fa piacere chiudere questo numero con due buone notizie che arrivano da Bologna e Milano: due esempi concreti di azioni urbane che parlano, rispettivamente, di mitigazione e adattamento.
A Bologna, GO-Mobility ha analizzato oltre 135mila viaggi in auto e confermato che “Città 30” funziona: meno frenate brusche, meno emissioni (fino al -17% per km), maggiore rispetto dei limiti (+60%) e tempi di percorrenza praticamente invariati.
La guida diventa più fluida e sicura, e gli incidenti in calo significano anche un risparmio collettivo da 150 milioni di euro. Un piccolo cambio di abitudine che porta grandi effetti sistemici.
A Milano, invece, il verde urbano si fa smart: parte il monitoraggio con gemelli digitali per oltre 30mila alberi grazie ai fondi del Programma Metro Plus.
Ogni esemplare viene scannerizzato e mappato in 3D per valutare salute, stabilità e benefici ecosistemici. Una tecnologia utile per programmare gli interventi in modo puntuale e prevenire rischi, senza sprechi.
Due città, due strade. Ma una direzione comune: rendere le nostre aree urbane più sane, resilienti e intelligenti.6
È tutto per questo numero di Perbacco! Se vuoi parliamone nei commenti.
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Della lettera al Parlamento Europeo ha scritto Ferdinando Cotugno nella puntata del 21 giugno della sua newsletter “Areale”. Ci si iscrive da qui.
Qui la lettera di CO2alizioneper intero, mentre su questa pagina viene spiegata l’iniziativa.
L’analisi di ECCO sugli effetti potenziali derivanti dal decreto Omnibus è disponibile qui.
La BCE ha pubblicato a questo indirizzo il report “Working Paper Series - Climate risk, bank lending and monetary policy”.
Su Bologna e Milano ha scritto Fabrizio Fasanella, sulla newsletter di Greenkiesta.