Chiedimi se sono felice
👨🏻💻 Perbacco! #27 - Come trasformare le aziende in organizzazioni positive e favorire la felicità, anche a lavoro
Ciao! Sei su Perbacco! - la newsletter di Antonio Di Bacco.
La sostenibilità è strettamente correlata alla felicità e al benessere dei lavoratori. Perciò oggi parliamo di felicità a lavoro e di come favorirla. Si parte!
Quando faccio un colloquio negli uffici di un’azienda (e in vita mia ne ho fatti tanti), c’è una cosa che non rinuncio mai a fare.
Arrivo sempre con qualche minuto di anticipo all’appuntamento. Mi accomodo alla reception e poi mi guardo attorno per studiare l’ambiente, ma soprattutto cerco una cosa: i bagni.
No, non perché necessariamente mi scappa qualcosa all’ultimo secondo o mi devo controllare il ciuffo ribelle. Lo faccio per dare un’occhiata agli uffici, alle scrivanie, alle facce di chi ci lavora mentre mi aggiro nei corridoi. Verifico poi come sono i bagni e se sono curati.
Il bath-test mi serve per avere una prima idea della cultura aziendale, del clima che si respira in ufficio, dell’attenzione che c’è verso i lavoratori.
Mi chiedo: si sta bene qua dentro? Potrei essere felice in quest’azienda?
Non è una domanda scontata, anzi. Guardiamo qualche dato.
Quanto siamo felici a lavoro?
L’ultimo report di Gallup, lo State of the Global Workplace: 2023 Report, ci offre uno spaccato significativo del rapporto che c’è tra persone e lavoro, tra lavoratori e aziende.
Ne riassumo i 7 punti principali:
Su scala globale l'engagement dei dipendenti, cioè il loro impegno, coinvolgimento in quello che fanno, ha raggiunto un livello record nel 2022, pari al 23%. Peccato che per l’Europa questo indicatore scenda al 13% e che per l’Italia il dato sia impietoso, pari al 5% (4,79% a voler essere precisi). Ultimo posto in classifica nel nostro continente.
Nel mondo 6 persone su 10 si sentono disimpegnate psicologicamente dal lavoro, il cosiddetto “quiet quitting”. Se si considerano anche i dipendenti che sono alla ricerca attiva di un altro lavoro, la percentuale sale al 77% e costa all'economia globale 8,8 trilioni di dollari, pari al 9% del PIL mondiale. In Italia raggiungiamo il 95%.
Lo stress dei dipendenti è rimasto ad un livello record, anche dopo la pandemia.
In tutto il mondo, il 44% dei dipendenti si sente stressato, che diventa il 46% in Italia. Si è parlato spesso di burnout in questi anni.
Secondo gli stessi dipendenti, le opportunità di cambiare lavoro sono globalmente aumentate nel 2022 dopo il calo degli anni precedenti: 53% con un salto di 10 punti percentuali. Per l’Italia, dove il mercato del lavoro è da sempre molto vischioso, è passato dal 18% del 2021 al 20% per il 2022. In generale, questo significa pure che i datori di lavoro dovrebbero prestare ancor maggiore attenzione a trattenere i loro lavoratori più talentuosi.
Oltre la metà dei dipendenti è alla ricerca attiva o passiva di un lavoro.
Sono il 51% a livello globale e il 34% in Europa. Non è disponibile un dato per nazione. Chissà cosa risulterebbe per l’Italia...
L’engagement conta più del luogo di lavoro.
Pur sapendo che il lavoro a distanza, consente maggiore flessibilità e l’eliminazione dello stress da pendolarismo, e che la (parziale) presenza in ufficio aiuta a stringere legami più forti e accresce la collaborazione, l’engagement ha un'influenza sullo stress dei dipendenti pari a 3,8 volte quella del luogo di lavoro. Il rapporto con il team e il manager conta ben di più della presenza o meno in loco.
I "quiet quitters" sanno cosa cambierebbero sul lavoro: vorrebbero più riconoscimento, opportunità di apprendimento, trattamento equo, obiettivi più chiari e manager migliori.
I dati, specie quelli riguardanti l’Italia, ci dicono che il posto di lavoro, ovunque esso sia, è spesso un luogo tossico dove passiamo larga parte del nostro tempo. Scarsa motivazione, se non proprio voglia di fuggire dall’azienda, sono un sintomo di una cultura aziendale e più in generale di una cultura del lavoro che deve necessariamente cambiare se vuole invertire la marcia ed evolvere in senso positivo.
Organizzazioni positive
Bisogna trasformare le aziende in organizzazioni positive, dove le persone fioriscono in relazione con altre e ottengono risultati individuali e collettivi che hanno senso e superano le aspettative.
Se si sviluppa la cooperazione, si sviluppa la comunità, intesa come gruppo di lavoro e azienda che poi riverbera nelle comunità in cui è a sua volta inserita.
Si tratta di adottare un modello culturale basato sulla Scienza della Felicità, insegnata anche da istituzioni come l’Università della California - Barkeley e la Yale University.
Siamo abituati a pensare alla felicità come ad un’emozione, molto forte ma di breve durata, legata a momenti particolari oppure come ad un premio da raggiungere, qualcosa che viene sempre dopo la realizzazione di qualcos’altro.
In realtà le ricerche in vari ambiti (Psicologia, Neuroscienza, Biologia Molecolare, Economia, Fisica Quantistica, Medicina integrata, Sociologia) stanno dimostrando che la felicità non è solo un’emozione ma una competenza e, come tale, possiamo coltivarla, a beneficio dei singoli e dell’intero sistema sociale.
Come si allena la felicità?
Lo ha ribadito Veruscka Gennari, CoFounder di 2BHappy Culture Company e dell’Italian Institute for Positive Organizations, qualche giorno fa al Salone del CSR e dell’Innovazione Sociale. Bisogna innanzitutto superare certi mindset culturali e lavorare su 4 punti fondamentali:
Preferire il noi all’io. Favorire la cooperazione rispetto alla competizione tra singoli. Ce lo insegnano la storie e la scienza: non sopravvive la specie che si adatta di più ma quella che sa cooperare meglio.
Se ognuno di noi diventa un “nodo positivo” nell’ambiente di lavoro, a scuola o all’interno della comunità, non solo stiamo aiutando il gruppo a rafforzarsi e crescere, stiamo anche facendo aumentare in modo esponenziale il nostro stesso potenziale di successo. Si chiama Capitale Sociale.
Favorire la chimica positiva, cioè comportamenti, linguaggi e processi capaci di stimolare la produzione di dopamina, ossitocina, endorfine, attraverso il coinvolgimento, la comunicazione gentile, i feedback positivi, la bellezza degli spazi.
Superare l’idea che per ottenere risultati bisogna mettere pressione costante, generare tensione, con l’effetto di far produrre cortisolo al nostro organismo, il famoso ormone dello stress. Con effetti negativi su creatività, capacità di ascolto, salute mentale.
Dare più importanza all’Essere e meno all’Avere. Superare la convinzione che successo, carriera, felicità e auto-realizzazione dipendano dal ruolo, dai benefits, dal ricoprire posizioni di potere e privilegio e dalla quantità di tempo speso a fare cose. Significa saper conoscere e riconoscere il proprio talento, capire e gestire se stessi, lavorare in un’azienda di cui condividiamo i valori oppure riposizionarsi cambiando ruolo o funzione per sfruttare meglio le proprie attitudini.
Costruire una routine, cioè dei meccanismi, dei processi, delle misurazioni e quindi delle responsabilità, per cui diventa più semplice presidiare la felicità e capire dove si sta andando.
Nelle aziende si sta diffondendo sempre di più la figura di Chief Happiness Officer, il Manager della Felicità, con tanto di certificazione. Non solo in ambito Risorse Umane, spesso è in aggiunta ad altri ruoli come quello di CEO, Communication Manager, Corporate Social Responsibility Manager. L’obiettivo è coniugare e rendere sostenibili le strategie di business con le dinamiche umane e le politiche di benessere.
Altri studi dimostrano quanto siano correlati l’elemento umano e la capacità di un’azienda di essere sostenibile sotto tutti i punti di vista.
Far corrispondere il purpose aziendale al purpose personale, al senso che diamo a quello che facciamo, può avere un effetto positivo determinante per il benessere personale e di tutta l'organizzazione.
La parola chiave è rispetto. Rispetto per le diversità e preferenze di ognuno, per la persona che dovrebbe essere vista realmente come una risorsa, così come rispetto dei colleghi e del contesto in cui lavoriamo. E del contesto fa parte anche il nostro pianeta, l’ambiente che ci troviamo attorno, che con la giusta attenzione e preparazione può fiorire e rifiorire tanto quanto il nostro talento in azienda.
Ringrazio Tangible per aver voluto supportare anche questo numero di Perbacco!
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👓 Spunti e appunti
Il bellissimo messaggio lanciato dal Norwich City Football Club in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale. Potente come pochi.
L’Osservatorio Lifegate ha pubblicato il suo ultimo report sulla sostenibilità. Per gli italiani la sostenibilità è una cosa seria.
Altro che litio, batterie per tutti i gusti! Al sale oppure allo zucchero. Speriamo si trovi subito la giusta ricetta.
Una segnaletica stradale colorata per le piste ciclabili è una prassi consolidata in molti paesi. In Italia pure questa deve essere messa in discussione. Non solo tutti allenatori, pure tutti urbanisti!
Si possono donare 8 miliardi di dollari, pari all’80% del proprio patrimonio, a cause educative, sanitarie, scientifiche e sociali e scegliere di vivere in un bilocale in affitto e viaggiare solo su voli economici con sacchetti di plastica come valigetta? La storia di Chuck Feeney, morto lunedì scorso a 92 anni dopo aver fatto fortuna con la catena Duty Free Shoppers.
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🎈E per finire in leggerezza…
Una creazione di Reikan_creations realizzata con corteccia di alberi di kiwi ed alcune foglie.
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Bella news, complimenti! E' un argomento che mi interessa molto
Grazie, userò e spammerò questa newsletter. Non sono una happiness chief officer, mi occupo di relazione e comunicazione consapevole, ma mi ritrovo in pieno e tutto quello che hai scritto andrebbe sottolineato con l'evidenziatore e reso "obbligatorio" nelle aziende come l'italiano a scuola