Chi più risiKa poi rosica
👨🏻💻 Perbacco! #7 - Il linguaggio degli affari, la polarizzazione nei social media e le parole-ponte
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Ho una personale predilezione per le biografie. Il racconto di vite più o meno straordinarie alla ricerca del successo o più verosimilmente alla ricerca di sé stessi, mi appassiona perché mi catapulta nei mondi reali altrui.
Tra quelle che ho letto nell’ultimo anno c’è la biografia del fondatore della Nike, Phil Knight, intitolata “L’arte della vittoria”. Non proprio velatamente, richiama il titolo di un libro ancora più famoso: “L’arte della guerra” di Sun Tzu.
Il libro di Knight racconta le traversie prima del successo della Nike, gli ostacoli e incertezze affrontate dal protagonista, le scelte dolorose e le intuizioni che hanno contribuito a fare di quell’idea di business un colosso mondiale. Eppure mentre lo leggevo quello che mi ha colpito è il linguaggio usato nel racconto. I termini usati per arringare i propri dipendenti, concepire un piano d’azione, raccontare i pensieri di un fondatore nella sua scalata al successo imprenditoriale, sono spesso pescati dal gergo militare. Un uomo perennemente al fronte, con la fissa della conquista.
Phil Knight non è certo il primo che ricorre alla metafora della guerra per parlare di strategia in ambiti al di fuori di quello bellico.
Consuetudini linguistiche
Siamo ormai assuefatti a termini come colpire il target, conquistare i consumatori, bombardare di messaggi, annientare la concorrenza. Giochiamo a Risiko con le parole.
Eppure si potrebbero esprimere gli stessi concetti usando termini come comunicare con il proprio pubblico, dialogare con i clienti, acquisire quote di mercato.
Le parole che richiamano la guerra fanno purtroppo parte del nostro quotidiano e in questa porzione di mondo lo sono ancor di più dal giorno dell’invasione russa in territorio ucraino, iniziata esattamente un anno fa.
Lo stesso avviene con altre parole entrate nel vocabolario comune e spesso usate a sproposito come terremoto finanziario o tzunami economico. Evocano tragedie che dovrebbero suggerire maggior rispetto per chi ha sofferto o tuttora soffre certe situazioni.
Lo specchio di questa abitudine sono i social media, dove un certo tipo di linguaggio provoca una polarizzazione evidenziata anche da studi scientifici. I messaggi divisivi sui social media tendono a ricevere un maggiore coinvolgimento, a facilitare reazioni animate, a fomentare le diverse fazioni che discutono, contribuendo a polarizzare il pubblico verso opposte direzioni.
Le parole-ponte
Visto il tema della puntata ho chiesto ad
, autore di - newsletter dedicata all’uso della lingua nella comunicazione - una riflessione sulle parole-ponte. La trovi qui di seguito.Le parole-ponte rendono una comunicazione morbida come un abbraccio, sono l’opposto (o meglio, la negazione) delle parole-muro tipo:
emergenza, allarme, braccio di ferro, lotta continua, roulette russa, fuoco alle polveri, mossa strategica, attacca il nemico, sul piede di guerra, in trincea, via libera, gli alleati, sul fronte opposto, nemico invisibile, scatta l’offensiva.
Si tratta di espressioni metaforiche che spesso leggiamo nei giornali, ma che usiamo anche a livello professionale e nella vita di tutti i giorni. Parole che contribuiscono a definire un pensiero militaresco, cioè un modo di agire portato allo scontro, alla risoluzione di continui conflitti.
Non è tanto l’uso delle metafore a disturbare la comunicazione, quanto il loro abuso; l’abuso agisce in maniera sotterranea, immergendoci in un universo linguistico che poi diventa la normalità.
Il problema del gergo militaresco è che fomenta il pensiero oppositivo, il noi contro loro portato all’esasperazione dai social. E così finiamo intrappolatə in una logica binaria: pro o contro, sì o no, giusto o sbagliato, vittoria o sconfitta.
Schierarsi in questo modo riduce la complessità del mondo, e il mondo è complesso così come lo è ogni persona. Finire dentro questo schema provoca sempre guerre in cui qualcuno vuole avere ragione, vuole prevalere. La lingua che usiamo invece dovrebbe accogliere, ascoltare, facilitare.
Le parole-ponte fanno funzionare le cose, e una cosa che funziona è in armonia, ha tutto quello che le serve. Non ha bisogno di fare alcuna guerra.
Come dice bene Andrea, spesso di fronte a temi complessi ci si rifugia nella superficialità, si perde la volontà di approfondire, di ascoltare, di percorrere quei ponti anche linguistici che permettono di comprendere meglio le sfumature di un problema e predisporre al dialogo. Avremmo invece bisogno di un abbraccio, di morbidezza, di empatia.
Tiziano Terzani, giornalista e scrittore di saggi illuminanti, poco dopo l’11 settembre 2001 scrisse:
Con quello che sta succedendo nel mondo la nostra vita non può, non deve essere normale. Di questa normalità dovremmo avere vergogna. Allora io dico: fermiamoci, riflettiamo, prendiamo coscienza. Facciamo ognuno qualcosa… Nessun altro può farlo per noi.
(da Lettere contro la guerra - TEA, 2002)
Potremmo iniziare con il cambiare linguaggio e restituire alla comunicazione il suo valore etimologico: dal latino “communicare”, mettere in comune, fare gli altri partecipi di una cosa. È tempo di costruire ponti, ma più che di cemento abbiamo bisogno di amore per il prossimo e di rispetto. 🤝
👓 Spunti e appunti
Qualche consiglio su come avere conversazioni migliori sui social media. Tra questi anche quello di rimuovere dal proprio vocabolario la parola troll. E magari ricordarsi di un’altra parola: empatia. (TED-Ed blog)
Una bella riflessione di Aberto Puliafito sulla scomparsa del contesto, sia sui social che sui giornali. Alla faccia del senso delle cose. (Slow News)
Piccioni e intelligenza artificiale. Sembrano non avere nulla in comune, ma un nuovo studio effettuato dagli psicologi dell'Università dell'Iowa, dimostra che il funzionamento del cervello dei piccioni e i meccanismi che guidano il loro apprendimento ha delle analogie con l'intelligenza artificiale. Piccion.ai! (Phys.org)
Come fa uno stato che conta solo 11.000 abitanti a ricevere circa 10 milioni di euro all’anno senza alcuno sforzo? La fortuna passa anche per il nome di un dominio web. (La Gazzetta del pubblicitario)
🎈E per finire in leggerezza…
Immaginiamo di sederci sulle altalene di Teeter Totter Wall, l’installazione di Ronald Rael e Virginia San Fratello composta da tre altalene rosa inserite nelle fessure del muro al confine tra Stati Uniti e Messico. Nel 2020 ha vinto il Beazley Design of the Year, prestigioso premio internazionale assegnato dal Design Museum di Londra.
L’opera ha permesso ai bambini di El Paso, in Texas, e di Anapra, in Messico, di giocare insieme, l’uno di fronte all’altro sulle altalene, nonostante il muro che segna il confine più attraversato al mondo.
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Mi rendo conto di aver sempre prediletto le parole ponte al risiko, probabilmente a causa della mia attitudine all'obiezione di coscienza. Ora però vedere razionalizzato per bene il concetto mi induce a dedicarmici più determinato di prima. Peace.
Grazie Antonio per l'ospitalità in questa bella puntata. Tra l'altro come al solito spunti interessanti che non conoscevo: né la storia del dominio di Tuvalu né l'installazione artistica tra Stati Uniti e Messico (che cosa bella per scardinare quella bruttura che separa le persone)